26.4.07


Ombre


Non avevo mai capito prima cosa fosse veramente.
La avvertivo soltanto come una sensazione accennata, una specie di vertigine senza baratro apparente, un’incertezza che rallenta il passo, una presenza inquieta dietro di me, come il soffio di un’ombra nascosta.


Tutto è cominciato una mattina, tanti anni fa ormai.Improvvisamente, dopo una notte di sogni cupi e interminabili, un rumore di passi sul selciato, ha innescato una catena di pensieri apparentemente slegati che si susseguivano, con un misto di fastidio e di frenesia. Volti, luoghi, parole lontane nel tempo che riaffioravano dalla superficie increspata della memoria, ingrossando la sensazione della pesante vastità del cammino trascorso.
Da quel momento è stato un sempre più frequente voltarsi indietro dell’anima verso il proprio tempo, come se i suoi passi futuri avessero iniziato a dover dipendere da quelli precedenti. E ad ogni sguardo dietro le spalle la presenza dell’ombra diventava più invadente, e più il passo in avanti si faceva frenetico, più l’oscurità si ingrossava e si faceva inquietante.


Prima l’unica cosa importante era il sole di fronte, ora diventava la notte alle spalle.E più ancora dell’ombra era la sua inevitabilità a non poter essere accettata, il suo essere l’impronta visibile di un destino che cancellava l’illusione di essere liberi dal nulla.
Oggi, l’abitudine e la stanchezza attenuano ogni tanto il dolore per questa scoperta del punto di inizio del proprio invecchiare.


Ormai al panico spesso si sostituisce per un po’ l’accettazione del fatto che siamo noi oggi ad oscurare il nostro ieri con l’occhio colmo di tremore, ombre di ombre che temono solo se stesse.
Che passato e futuro sono in realtà solo direzioni di uno sguardo che osserva un piccolo intervallo fra due infiniti.
Che in fondo per l’anima del mondo ogni nostra certezza ed ogni nostro dubbio saranno per sempre soltanto il passaggio di un’ombra veloce sulla superficie accecante del sole.