9.11.11



Tutte
Non sei tu, nemmeno tu, o lei o quella prima e quella prima ancora. Sono io solo che ho vissuto sempre di speranze dolorose ed illusioni mascherate da equilibi instabili. Ho amato, come nessuno poteva amare, ma nascosto dietro il fallimento inevitabile ed ingiusto. Sempre troppo veloce il nostro tempo, sempre troppo difficile accettare di non essere un uomo da amare. Ho amato ogni tua parola e ogni vostro silenzio, anime mie lontane.
Non accetterò di sentirmi in colpa, anche se il dolore adesso è vestito della cenere di un sogno lungo come la vita. Non voglio andarmene, non voglio che te ne vada. Voglio solo rimanere qui, sfamandomi di piccole briciole di compassione e di una semplice, forse esaurita, ma pur sempre desiderata amicizia.

6.11.11




Ad Ale

Ho passato la mia vita ad aspettare, e ne conosco ogni più piccola sfumatura. In piedi, con lo sguardo oltre le fronde invecchiate e tremolanti di alberi incisi da progetti tenuti insieme dall'illusione. Seduto su sedie sempre troppo dure e scomode per poter sopportare il ticchettio dei minuti sottratti alla serenità. Sdraiato fra lenzuola stropicciate dal silenzio di una notte lunga come un'intera stagione di freddo e vento. Rannicchiato sulle mie mancanze, nella speranza che nascondendosi allo sguardo pietoso di persone dall'animo gretto come un tronco rinsecchito fosse possibile raccattare amore o amicizia senza curarsi del proprio corpo senza bellezza. Ho scartato persone, sono stato abbandonato da affetti malriposti e rinunciato al peso di inseguire il mondo. La fatica di un semplice gesto quotidiano ha svuotato il mio cuore di ogni barlume di felicità. Ed ogni raggio di sole incontrato durante il cammino ha solo fatto evaporare la superficie del fossato in cui galleggiavo a stento fra il fango delle mie ore. La morte mi ha privato dell'affetto infinito della sola donna che mi abbia mai amato. Se n'è andata senza che le mie urla potessero in qualche modo fermare la sua fuga dal mondo. Ho creduto di poter vivere senza lei e non mi sono invece accorto di essere morto anch'io su quel pavimente freddo e scheggiato dall'infelicità. Mi sono a volte rifugiato in uno specchio, da cui lo sguardo però fuggiva sempre troppo presto, per paura di trovarvi riflesso il volto di un uomo troppo vecchio per poter essere amato. Ho regalato la mia vita senza chiedere niente in cambio, scambiando la piccola gratitudine quotidiana per amore ed amicizia. Non ho imparato a vivere solo, ad odiare abbastanza la vita per essere in grado di rinunciarvi per scelta. E mi ritrovo ora ad essere prigioniero di mura fatte di sogni infranti e di egoismi vestiti di sorrisi.
Oggi avrei bisogno di coraggio, ma nelle mie tasche, per quanto io ci frughi, sono solo rimaste briciole di bellezza e tanta, troppa, insopportabile ed ingiusta paura di vivere e di morire.
Non mollarmi proprio in mezzo al fiume vita mia.


Ti voglio bene Principessa

30.10.11



Labirinto
.

Disperso nel labirinto delle mie cicatrici. Confuso dalla memoria di sensazioni sovrapposte, forse intercambiabili o più semplicemente fluide come acqua mista a fango, adattabili ad ogni singolo ricordo, fatte di cadute e di riprese, di sconfitte e di nuove illusioni; ognuna diversa da se stessa e tutte identiche alle altre. Le parole schiacciano la felicità dentro la scatola della ragione, incuranti della bellezza misteriosa di ciò che viene abbandonato a se stesso e lasciato evaporare nel tempo. Silenzio in me, come tutto attorno. Nella nebbia unta del non detto i contorni sfumano in ferite ricoperte di pelle morta. Nella malinconica danza di piedi strascicati dall’impotenza, il sentiero si ricopre di solchi ricolmi di rimpianto.
E ad ogni nuova svolta la triste consapevolezza di essere ritornato un’altra volta al punto di partenza.
Assordato dall’urlo insopportabile di un sentimento impossibile da raggiungere

15.10.11




Seven years

Avevo un amore, grande come un mondo, caldo come una giornata senza vento, quando il sole illumina la terra ed i colori abbagliano il cuore con la forza di un pugno allo stomaco. Non so il perché, né tanto meno il come; ricordo solo il quando. C’era buio fuori, come solo le notti calde di un’estate precoce sanno essere. Era sabato ricordo, solitario e senza sbocco come tanti altri. Ho ascoltato un suono lontano, uguale a quello che mi arrivava dal cuore, e mi è sembrato che parlasse solo per me. Mesi si sono legati a mesi, anni ad anni, senza che riuscissi a cantarla quella melodia lontana. La voce era mascherata dal timore, la speranza rimandava le parole, la mano scriveva frasi che nascondevano frasi, senza che il muro rivelasse un varco in cui attraversare il fiume.
E’ stato per stanchezza, o disperazione chissà; è bastata un’unica, inutile parola per cancellare un sogno tormentato e fasullo.
Poi la frana del dolore ha trascinato a valle ogni illusione di luce, ferendo il cuore con spine di fatica. E’ orribile camminare nella sera dei propri sentimenti defraudati. Fa male la follia dell’impossibile che si disvela nei silenzi.
Ho pianto, dentro e fuori; lacrime di amarezza e di rabbia. Per non aver capito che la gioia non è per chi la rincorre, che le parole dette per convenienza tranciano le vene dell’anima come cocci affilati dalla menzogna. E che se nasci morto nessuno ti potrà mai resuscitare.
Avevo un Amore, che mi ha rubato una vita. Troppo per poterne fare a meno senza rimpianto. Ma troppo, davvero troppo poco per continuare ad inseguire il vuoto.

13.1.11

Down, to the water

- Puoi venire, mamma? Per favore… sto scivolando giù…

L’acqua iniziava ad entrare nell’orecchio destro, con un rombo lontano, come se si stesse avvicinando un’onda gigantesca arrivata dall’orizzonte senza preavviso.
Aveva paura, un’immensa paura di non poter sopportare oltre la fatica di sopravvivere, fosse anche solo per un altro interminabile minuto. La testa leggermente curvata verso la fessura di sole che filtrava dagli spessi scuri che nascondevano le alte vetrate della sala bagni, protesa verso un’improbabile mano richiamata dalla forza invisibile dei suoi grandi occhi color della terra umida, una mano che l’avrebbe potuto raccogliere come un petalo adagiato sulla superficie di uno stagno increspato dal vento. L’avrebbe potuto sollevare con delicatezza, senza ferirlo, muta e materna come una carezza dimenticata, deponendolo sul soffice e tiepido letto posto accanto alla porta. Asciugando assieme alle gocce che scendevano dai suoi riccioli ribelli le lacrime che, lente e discrete, scorrevano lungo la superficie del suo volto disperato.
La grande vasca d’acciaio colma di tiepida acqua immobile, assomigliava ad uno di quei contenitori che le infermiere due volte al giorno gli infilavano sotto le coperte ruvide e pesanti, tra l’attaccatura delle gambe e la schiena, per permettergli di liberarsi finalmente dalla fatica di trattenere i suoi bisogni. Solo, questo contenitore era esageratamente grande rispetto agli altri, enorme al punto da accogliere tutto il suo corpo al suo interno, come una scatola di biscotti gigantesca e misteriosa di cui non si riusciva mai a vedere il fondo.
L’attraversava per tutta la larghezza una ruvida striscia di tessuto intrecciato, macchiata ogni tanto da un alone più scuro, in corrispondenza dei punti in cui venivano appoggiate le teste dei pazienti immersi nel tiepido calore che li avvolgeva nella loro bara d’acciaio.

- Mamma, mi senti? Non ce la faccio più…

Nessuno però riusciva a sentire la sua voce, trattenuta dal terrore e dalla stanchezza.
Ad ogni istante che passava, il piccolo M. si rendeva conto che il peso del suo corpo immobilizzato dalla paralisi stava avendo la meglio sulla spinta dell’acqua che lo avrebbe dovuto sorreggere. Il rombo arrivato dal mare stava diventando assordante, mentre il calore del liquido che scendeva nell’orecchio gli faceva avvertire l’angoscia del tempo che si affievoliva, implacabile.
Provò a girare il capo verso sinistra, distogliendo gli occhi velati dal chiarore del sole aggrappato al muro per dirigerli verso un punto indefinito, posto esattamente sopra la sua testa.

- Scivolo, mamma, scivolo!

Il bordo tagliente della passerella che sovrastava l’abisso iniziava a procuragli un dolore lancinante alla base della testa, inasprito dal fatto che i capelli in quel punto venivano strappati uno ad uno, come per mano di un sadico carnefice, dal peso della lenta caduta verso il fondo.

Mamma! Dove sei mam…
...

Era libero ormai dal filo di inutile speranza che gli aveva imposto di resistere, completamente in balìa del misterioso senso del nulla che lo aveva avvolto.
Il liquido di morte era penetrato in lui dal naso, dalle orecchie e dalla bocca spalancata e muta.
Scendeva lento, come una piuma sorretta da un soffio di aria calda nell’estate della sua breve vita. Scendeva e aspettava. Aspettava che finisse presto. Scendeva, immobile come aveva imparato ad essere da quando la febbre infame l’aveva raggiunto, in quella gelida e lontana notte di febbraio. Scendeva, aspettando di riabbracciare finalmente il viso dell’unica donna che aveva avuto il coraggio di amarlo.

- Ciao mamma, finalmente sei tornata! Ho avuto paura sai? Però adesso è tutto finito…

8.1.11


Alabastro

Spicchio di cielo racchiuso da mura d’alabastro.
Strisce di liquido ghiaccio a frangere il presagio
di un angelo ferito dal proprio eterno passato.
Fame d’amore, o forse solo di un timido bacio
abbandonato da labbra troppo pudiche per abbracciare.
Un sorriso che rapido s’invola da questa plaga
cosparsa di inutile attesa, trascinato dal rimpianto
nato dalla magia dei suoi inconsapevoli occhi.
Fino al prossimo, silenzioso incontro.

4.1.11


Penombra

Nella grotta dei miei silenzi accoglierò i tuoi dubbi screziati di lacrime indecise, così che tu possa accarezzare la fiducia che ti cresce addosso, come pelle di morbido velluto.
Mani di delicata pazienza a sorreggerti il cuore, mentre avanzi sicura nelle ombre del non detto.
Passi sicuri e calde melodie a rischiarare il velo dei tuoi occhi, stanchi dei compromessi altrui.
Fino al termine della notte di ogni angoscia ricordata.
Soli ad accogliere la freschezza della tua inaudita libertà.
Parole racchiuse in una silenziosa fiamma odorosa di futuro.