6.11.07

Ei fu

Quando un uomo muore è un pezzo di essere che scompare. E questo è il vero motivo per cui la morte ci appare difficile da accettare. Il tempo che ci circonda ha gioco facile ad illuderci. Ogni giorno ci appare quasi uguale all’altro , ogni gioia si ripete, le nostre cose ci seguono per giorni ed anni e del resto basta così poco a sostituirle. Ogni vita è fatta di frammenti clonati, in cui l’universo ruota attorno al nostro esistere. Sì è vero, noi sappiamo che in fondo c’è differenza tra essere ed esistenza, ma solo quando ci scrolliamo di dosso la pigrizia dell’anima, quella che si arrotola nelle sue coperte fatte di egoismo.
La maggior parte del tempo è l’illusione del nostro poter essere ciò che vorremmo essere a regolare l’oscillare in questo mondo.
Poi, rapido come rapidi siamo vissuti, il nulla presenta il proprio conto, passando all’incasso.
L’essere non può opporsi alla legge suprema, perché la sua esistenza è solo una parvenza di necessità, che svanisce come sale dentro ad una ferita.
Restano allora solo il dolore per gli affetti che non vengono più corrisposti, poche libbre di materia putrida, e un senso di vuoto che verrà presto riempito da nuove idolatrie.
Il resto, le parole dette e quelle taciute per viltà e per pigrizia, le immagini patinate, le frasi fatte dette fra i denti, le luci della ribalta, i milioni di fans e di euro, i nemici e i pochi amici, la retorica delle cose e quella delle nostre stesse parole, le agiografie post mortem e i coccodrilli tolti dal cassetto fanno semplicemente il paio con la nostra piccola statura di uomini grigi colorati dalla mediocrità del mondo.
E così sia.