28.12.06


Riflessi

Ormai ho capito di aver trascurato troppo a lungo il tempo, il mio intendo.
E poco alla volta inizio a comprendere il valore dei secondi che fuggono, anche se in questo modo aumenta il senso di disagio per questa cecità che si è rivelata troppo tardi. Perché a volte non riesco a distinguere bene il confine tra idee e convinzioni. Troppo labile è la differenza, troppo oscuro il senso della vita per capire cosa sia ciò che veramente conta. Ogni istante è fatto di pensieri, ogni pensiero è fatto di idee che si affiancano, a volte si aggrappano fra di loro, per costruirsi un futuro, fatto di nuovi istanti e di nuove idee. Solo che il tempo mi costringe a trasformare i pensieri in verità, e le idee in convinzioni. Perché dentro di me avverto la vertigine nascosta dello scorrere via, ma non ne riesco quasi mai ad afferrarne il padre. Credo di essere io, essere unico racchiuso nel proprio senso, ad essere la giustificazione del mio esistere, e vesto le mie idee imperfette di verità regali, scagliandomi contro l’imperfezione di altre presunte dogmi che mi circondano.
Lotta, scontro, insofferenza, rifiuto, diversità, intolleranza. Questo è il prezzo che pago al fatto di non riconoscere la provvisorietà del mio esserci. Perché si esiste solo nel tempo, quel breve tempo che riempie uno sbadiglio divino. E ogni infinitesima frazione di questa parentesi nel nulla è l’unica che può dare un senso ad un’idea. Non la sua impronunciabile verità, ma l’accettazione totale della sua esistenza, al di là di ogni giudizio; questo è ciò che sta sopra ogni differenza.
Ecco, da un po’ di tempo gli occhi del cuore hanno imparato a sostituire quelli della mente, e partendo dalla solitudine della ragione riescono ad avvicinarsi al sentimento delle altre anime.
Ma la pace dura ancora troppo poco. Il tempo ha solo cessato a volte di essere mio nemico.
Debbo adesso imparare a vedere in lui il mio riflesso.
Poi, forse, tutto cesserà di essere un problema.