30.12.06


50

In effetti il calendario è una specie di convenzione. Come le ore, come i nomi dei mesi, come le date, storiche o meno non importa.
Colombo (o chi per esso) in America ci sarebbe lo steso arrivato, fosse stato pure l’anno 3692 dalla fine del diluvio universale, e Armstrong sulla luna avrebbe comunque ballonzolato pure nell’anno 41 dalla nascita di Philip K. Dick.
Insomma, domani è il 31 dicembre, o comunque così la televisione ripete in continuazione. Io sarò ancora nel mio quarantanovesimo anno e tutto sarà più o meno uguale ad oggi, minuto più o minuto meno.
Se mi capitasse di dover parlare con qualcuno della mia vita, lo farei ancora avendo la sensazione di essere più giovane che vecchio, nonostante i pochi capelli ed il salvagente attorno alla cintola.
Ma a mezzanotte, tutto temo possa cambiare, accidenti!
“Un anno è andato via, della mia vita, già vedo danzar l’altro, che passerà…” diceva il poeta, solo che gli anni non sono tutti uguali. 49 non sono 50, questo è certo; ma quel che è peggio è che non esser più giovani significa in sostanza essere già vecchi.
Dopodomani il corpo non avrà più la stessa forza di resistere all’assalto del tempo che lo spintona in avanti. La stanchezza non sarà più dovuta al freddo, ma alle troppe giornate iniziate troppo presto. Il senso di apprestarsi ad una svolta cieca non sarà più un presentimento ma una certezza fastidiosa. Le persone che incontrerò per strada non saranno più indecise tra il “tu” e il “lei”; anzi è molto probabile che qualcuno inizi a pensare addirittura al “voi” prima di parlarmi.

Ecco, credo non sarà un grande Capodanno, alla faccia delle convenzioni.
In ogni caso se mi posso consolare in qualche modo lo faccio pensando al fatto che ad una certa età le fisime finiscono col diventare agli occhi della gente semplici originalità.
Chissà allora cosa penseranno domani notte, vedendomi brindare all’anno nuovo con un bicchiere di coca-cola, come nel lontano 1967, ascoltando le strane parole della chitarra di Dio….


Auguri dài, di cuore!