28.2.07


Per carità

Leggo le sue parole e improvvisamente mi accorgo di quanto rimanga difficile poter comprendere il senso della sofferenza dell’altro. Perché a noi stessi lo possiamo pure confessare quanto poco riusciamo a penetrare nel mistero dei sentimenti altrui.
E come ogni lacrima che asciughiamo, ogni ferita che laviamo, ogni lamento che ascoltiamo non riescano mai a svelarci fino in fondo il loro vero senso.
Li comprendiamo per analogia, aiutandoci con la memoria e con l’affetto, a volte persino con la convinzione di essere riusciti a farli nostri, questi fantasmi dal volto nascosto. Ma alla fine, dopo l’illusione della carità non ci resta che la stanchezza di non essere riusciti a trovare l’ingresso di questo palazzo di dolore, e la rabbia di non aver neppure avuto il coraggio di confessare a noi stessi la nostra incapacità di alleggerire il bisogno di chi ci chiamava.
Anche se, alla fine tutto tornerà prima o poi ad adagiarsi nel proprio letto d’indifferenza, lasciandosi dietro solo una sottile scia fatta di amarezza e di sollievo.
L’ennesima, microscopica smagliatura che increspa il velluto dell’anima.